L'EUROPA E' MORTA.
VIVA L'EUROPA!

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Perché l’Europa deve scegliere se investire nei propri figli o dipendere da altri

C’è una domanda che attraversa l’Europa, anche se quasi nessun leader osa formularla apertamente: vogliamo rigenerarci come popolo o affidarci al ricambio offerto dall’immigrazione di massa?

L’Europa invecchia, i suoi figli diminuiscono, e intanto le società diventano sempre più fragili. Non è una questione tecnica, ma politica: o scegliamo di investire sui bambini europei, oppure accettiamo di diventare un continente che rinuncia a se stesso e delega ad altri il proprio futuro.

L’Europa che invecchia

Oggi l’Unione Europea è uno dei luoghi più vecchi del mondo. Il tasso medio di fertilità è sceso a 1,46 figli per donna (Eurostat 2024), molto al di sotto del livello di sostituzione naturale (2,1). In paesi come Italia, Spagna, Germania orientale, Bulgaria, Ungheria, Lettonia, il crollo demografico rende matematicamente impossibile il ricambio generazionale.

La quota di popolazione over 65 supera il 22%. Gli attivi diminuiscono, i pensionati aumentano: meno lavoratori, più tasse, sistemi sociali insostenibili.

Due strade davanti a noi

La politica europea non può più fingere. Abbiamo due strade:

  1. Compensare con l’immigrazione, accogliendo milioni di adulti già formati da altri paesi, con enormi costi di integrazione, tensioni culturali e squilibri sociali.
  2. Investire nella natalità europea, sostenendo le famiglie che vogliono avere figli, rafforzando i servizi per l’infanzia, riequilibrando le risorse tra paesi vecchi e ricchi e paesi giovani ma fragili.

Entrambe le strade hanno un costo. Ma solo la seconda rafforza identità, coesione e stabilità democratica.

Non è questione di costi, ma di scelte

Un reddito europeo di natalità — 200 euro al mese per ogni bambino — costerebbe circa 200 miliardi all’anno. Una cifra enorme? Non più di quanto già spendiamo in misure frammentate e spesso inefficaci: assistenza agli immigrati, pensioni scoperte, sussidi a territori spopolati.

In realtà, gli Stati europei già spendono circa 380 miliardi di euro l’anno per famiglie e bambini, ma in forme disperse, diseguali e poco efficaci. Portare il sistema a livello europeo richiederebbe circa 500 miliardi in totale: la differenza è di soli 120 miliardi, cioè meno dello 0,7% del PIL europeo.

Non è una montagna insormontabile: è una scelta politica.

Un bilancio europeo per una nazione europea

Finché il bilancio europeo è solo la somma dei contributi nazionali, ogni misura è percepita come “i francesi che pagano i bulgari”.
Con un fisco europeo — IVA comune, carbon tax continentale, tassa sulle multinazionali digitali — la percezione cambierebbe: sarebbero i cittadini europei a investire nei figli d’Europa.

Il diverso valore reale dei 200 euro nei vari paesi non è un problema, ma un vantaggio: è la redistribuzione necessaria a fermare l’esodo giovanile e riequilibrare lo sviluppo.

Non carità, ma strategia

Un reddito europeo di natalità non è assistenza, ma strategia di sopravvivenza:

evita il declino irreversibile della popolazione europea;

riduce la dipendenza dall’immigrazione massiccia;

costruisce appartenenza e uguaglianza tra i bambini europei;

rafforza la legittimità di un bilancio europeo autonomo.

Scegliere i propri figli

Spendere per i bambini europei oggi significa restare padroni del nostro destino.

La demografia non è un fatto naturale, è politica. Non è ideologia, è scelta di vita.
O l’Europa investe nei propri figli, oppure accetta di dissolversi.

Bambini europei o adulti immigrati? Non è una formula polemica. È la domanda da cui dipende la nostra sopravvivenza.

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